Il licenziamento del dirigente

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Inquadramento normativo del licenziamento del dirigente

L’art. 2118 del codice civile prevede che in rapporto di lavoro a tempo indeterminato entrambe le parti (datore di lavoro e dipendente) possano recedere, purché sia dato congruo preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalla legge.
In generale, in tema di licenziamento è opportuno fare riferimento alla L. 604/1966 che limita la facoltà del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti. La normativa vigente, infatti, limita la facoltà del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti, inquadrando i recessi in ipotesi tipiche sulla base della motivazione posta alla base dei medesimi (licenziamento per giustificato motivo, licenziamento per giusta causa).

Questo significa che il datore di lavoro ha sempre l’obbligo di motivare il proprio recesso dal rapporto di lavoro.
Quanto sino ad ora detto vale soltanto per le categorie di operai e impiegati. Invece, il licenziamento del dirigente rappresenta una fattispecie piuttosto particolare.

Licenziamento del dirigente per giusta causa e per giustificato motivo

Prima di analizzare gli altri dettagli inerenti al licenziamento del dirigente, è opportuno fare un breve cenno sulla giusta causa e il giustificato motivo, vale a dire le “motivazioni” in presenza delle quali è possibile, anzi doveroso, procedere al licenziamento, ricordiamo, delle categorie di impiegati e operai (e non per il dirigente).

Ai sensi dell’art. 2119 del codice civile, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il licenziamento del prestatore di lavoro può avvenire solo in presenza di una giusta causa o per giustificato motivo.

Cosa significa “giusta causa”?

La giusta causa è un inadempimento del lavoratore talmente grave da non consentire, neppure in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Tuttavia, la legge non prevede espressamente i casi in cui questa ipotesi si configuri, così è intervenuta la giurisprudenza di legittimità, specificando che la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione, diversa dal licenziamento, risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro (Cass. 24.07.2003, n. 11516), al quale non può pertanto essere imposto l’utilizzo del lavoratore in un’altra posizione.

Dunque, la giusta causa è un evento sopravvenuto, imputabile al dolo o alla colpa grave (negligenza, imprudenza o imperizia) di una delle due parti (datore di lavoro o dipendente), che consente di risolvere ogni rapporto in essere tra le stesse, senza alcun obbligo di preavviso.

Cosa significa “giustificato motivo”?

La legge 604/1966 all’articolo 3 prende in considerazione le due ipotesi di licenziamento per giustificato motivo:

1) “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” da parte del dipendente (licenziamento con preavviso per giustificato motivo soggettivo);
2) ragioni connesse all’organizzazione del lavoro, al funzionamento regolare dell’organizzazione e all’attività produttiva (licenziamento con preavviso per giustificato motivo oggettivo).

In sostanza, anche nella fattispecie di licenziamento per giustificato motivo si è dinanzi ad un grave inadempimento contrattuale, ma in questo caso, a differenza di quanto accade per la “giusta causa” grava sulle parti l’obbligo di preavviso.
Spetta alla giurisprudenza stabilire se si versi in un’ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo (soggettivo o oggettivo).

Ad ogni modo, per rendere più agevole la differenza tra le due ipotesi si riportano alcuni esempi. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può avvenire, ad esempio, in caso di:

  • considerevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore;
  • ritardi sistematici sul posto di lavoro da parte del dipendente.Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo può avvenire, ad esempio, in caso di:
  • riduzione di personale da parte dell’azienda;
  • impossibilità di trasferire i cantieri altrove a fine lavori o nella fase lavorativa per il settore dell’Edilizia.Il licenziamento per giusta causa può avvenire, ad esempio, per:
  • assenza ingiustificata del dipendente oltre i termini contrattuali;
  • violenza e minacce nei confronti del datore di lavoro, di colleghi e/o di superiori (ad esempio insubordinazione, ingiurie, percosse, minacce).

Licenziamento senza obbligo di motivazione

Come accennato, nel rapporto di lavoro dirigenziale, a differenza di quanto accade negli altri, non grava sul datore di lavoro l’obbligo di motivazione in caso di licenziamento del dirigente sottoposto.

Perché? La risposta è semplice: la particolare vicinanza dei dipendenti apicali alla posizione del datore di lavoro, che si traduce in un vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro al dirigente, ha indotto il legislatore a non limitare la scelta imprenditoriale relativa alla necessità di recedere dal rapporto di lavoro dirigenziale.

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L’intervento della giurisprudenza e la “giustificatezza”

Ad ogni modo è importante chiarire che il datore di lavoro, in caso di licenziamento del dirigente, non potrà operare scelte arbitrarie prive di qualsiasi criterio e a danno del lavoratore.
Pertanto, la giurisprudenza ha elaborato negli anni la nozione ad hoc di “giustificatezza” del licenziamento, quali a titolo esemplificativo:

  • la cessazione dell’attività;
  • la soppressione della posizione del dirigente;

la ristrutturazione e riorganizzazione aziendale.Tali ragioni costituiscono formalmente il giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della L. 604/66, richiesto per tutti gli altri rapporti di lavoro.La differenza tra la nozione giurisprudenziale di “giustificatezza”, prevista per i dirigenti, e quella di giustificato motivo oggettivo, prevista per le altre categorie, esclude l’applicabilità al dirigente della piena tutela prevista dall’art. 3 della L. 604/1966 e, pertanto, anche del cd. “repechage”.

Il repechage

Trattasi di una tutela, di elaborazione giurisprudenziale, legata al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che prevede per il datore di lavoro la possibilità di procedere al licenziamento del lavoratore (esclusivamente operai e impiegati) solo ove non sia stato possibile riutilizzare ragionevolmente il soggetto in altre mansioni equivalenti.

Tale tutela, però, non opera anche per i dirigenti.

Cosa fare in caso di licenziamento del dirigente?

In generale, il licenziamento per ragioni oggettive deve ritenersi insindacabile ogni qualvolta il datore di lavoro abbia dovuto far fronte ad esigenze obiettive all’interno dell’impresa e il dirigente potrà solamente verificare se sussista un nesso causale tra le ragioni del licenziamento e le relative ripercussioni sul rapporto di lavoro.

Nel caso in cui non vi fosse tale rapporto causa-effetto, il recesso da parte del datore di lavoro sarà da considerarsi ingiustificato e il dirigente potrà rivolgersi al Collegio di Conciliazione e Arbitrato, previsto dalla contrattazione collettiva, ovvero ad un Giudice del lavoro per impugnare il licenziamento (entro 60 giorni).

L’onere di provare la legittimità del licenziamento spetta al datore di lavoro, che dovrà dimostrare

  • che le ragioni del licenziamento dipendono da esigenze obiettive dell’impresa;
  • che ci sia un rapporto causa-effetto tra i motivi oggettivi ed il licenziamento del dirigente.

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